La prima parte del viaggio di due fratelli verso il nuovo mondo, raccontata attraverso le parole di un nipote che ne ha ricostruito le tappe.
di Manuel Viviani
Il mio bisnonno non l’ho mai conosciuto, è morto prima che io nascessi. Anzi, a dire il vero, non ne ho mai nemmeno sentito parlare fino a quando non l’ho visto in fotografia. Il suo destino ce l’aveva scritto nel nome fin dalla nascita: nato l’11 agosto 1890 era stato battezzato con il nome di Viviani Lorenzo Amerigo. A ben vedere non c’era nulla di strano quindi, che una mattina di marzo del 1913 si sia svegliato e abbia deciso di partire per andare a cercare fortuna in America…
Partirono molti giovani dai paesi dell’Alta Valle quell’inverno, tutti con una meta: l’America. Era una mattina di marzo del 1913. Qualche giorno prima la famiglia era andata a Pedenosso a farsi fare uno scatto di famiglia dal fotografo Bradanini Costante: era tradizione farsi ritrarre tutti insieme prima della partenza, lo facevano tutte le famiglie. Probabilmente quella sarebbe stata l’ultima volta in vita loro in cui sarebbero stati tutti insieme. Si erano vestiti con gli abiti migliori per l’occasione e si erano fatti ritrarre insieme (foto in copertina), poi ognuno di loro aveva voluto una foto da solo con Lorenzo: vestiva con un bastone da passeggio e un cappello messo un po’ sbilenco sulla testa: era teso e spaesato, non proprio a suo agio, ecco.

Ed ora eccoli lì, in piazza, davanti alla chiesa. Isolaccia non è un paese molto grande e quando dei giovani partivano la mancanza l’avrebbero sentita tutti, perciò c’era l’intero paese a salutarli: chi con un fazzoletto in mano per asciugarsi le lacrime, chi con un sorriso forzato stampato in volto. Partivano in sei: Attilio, Francesco, Pietro e Luigi Giacomelli con Lorenzo e l’amico Alfonso Schena: era stato lui a convincere Lorenzo a partire. Alfonso era già stato in America con il fratello Giuseppe, era tornato la stagione scorsa ed ora era pronto a ripartire per raggiungere il fratello rimasto in America.
La mattina che si misero in cammino per raggiungere il nuovo mondo era freddo, come ogni mattina d’inverno, ma loro la temperatura nemmeno la sentivano, eccitati com’erano per quel lungo viaggio che li avrebbe portati nella terra dei sogni, che tanti aveva ammaliato. Da Isolaccia a Sondrio era una dura giornata di cammino, rubando qualche passaggio su qualche carretto qua e là e racimolando qualche compagno di viaggio lungo la strada: gente da Bormio, dalla Valfurva, dalla Valdisotto… La Valtellina era diventata una terra di emigranti, quanti giovani erano partiti in quegli ultimi anni!
Lorenzo il suo destino lo aveva scritto nel nome fin dalla nascita: con quel nome, Amerigo, che altro poteva fare se non partire per l’America? Avevano lasciato casa con pochi soldi, pochi vestiti, pochi affetti: tutto quello che avevano se lo erano lasciati alle spalle, in quelle case sotto il Crap de Scegn, lì ai piedi delle montagne e delle Torri di Fraele. Alfonso sapeva cosa lo aspettava, ma per Lorenzo ogni cosa sarebbe stata una novità, una sfida, un’avventura. Chissà com’era il mare? Non lo aveva mai visto, lui, che da sempre aveva vissuto in montagna. Non aveva mai visto una nave; non aveva mai visto una città, a parte Sondrio ovviamente, ma Sondrio di città aveva ben poco in realtà.
Giunti in bassa valle ci voleva un altro giorno di treno per arrivare a Milano e da Milano un altro ancora per raggiungere il porto di Genova. Ed eccolo, il mare, così grande! Senza una fine…
La traversata fino in Inghilterra non fu facile per Lorenzo, non avvezzo alle onde e quindi molto scosso nel profondo dello stomaco da quel viaggio. Alfonso rideva e lo prendeva in giro, ma pure lui non aveva un bel colore. Southampton era veramente lontana, pensava Lorenzo, dopo tre giorni di mal di mare su quella nave maledetta che ondeggiava impazzita sulle onde. Fu con un certo sollievo che sbarcarono a terra.
Arrivati al porto di Southampton dovevano cercare gli uffici della compagnia per comprare i biglietti per l’America. C’era sul molo una costruzione con un grande cartello con il nome della compagnia, la White Star Line, ma Lorenzo era troppo distratto da quel luogo incredibile: camminava stupito in mezzo alla folla di persone, quasi tutti emigranti come loro, che si muovevano come formiche in un formicaio, ma la cosa che lo meravigliava di più erano le immense navi, le gru per lo scarico merci che si alzavano in cielo, tutto era così nuovo e stimolante!
Dalla gente del porto avevano sentito dire che la nave gemella di quella che avrebbero preso loro era affondata qualche mese prima ed erano morte un sacco di persone: si chiamava Titanic
L’edificio lo vide Alfonso, non era difficile in effetti avvistarlo: era proprio di fianco alla gigantesca nave con le fiancate nere, così grande da poter ospitare tutta la gente di Isolaccia, Valfurva e Bormio e far avanzare ancora spazio. Dalla gente del porto avevano sentito dire che la nave gemella di quella che avrebbero preso loro era affondata qualche mese prima ed erano morte un sacco di persone: si chiamava Titanic. Non era certo un bel presupposto, diciamo che non partivano troppo tranquilli…
E il coraggio mancò loro ancora di più quando videro le esagerate dimensioni di quel titano che chiamavano Olympic. Un mostro così grande nessuno dei due l’aveva mai visto. Per fortuna Alfonso quella strana lingua inglese la capiva un po’, o perlomeno abbastanza per sentire dire in giro che la nave era appena uscita da un cantiere che l’aveva rinforzata, proprio per evitare inconveniente spiacevoli…
Salirono con le gambe che tremavano e il 2 aprile 1913 la nave salpava l’ancora dal porto di Southampton. Qualche giorno dopo l’euforia del viaggio era già svanita da tempo, lasciando spazio al mal di mare e all’incertezza per il futuro a cui andavano incontro nella pancia di quel mostro marino che li aveva fagocitati nelle sue viscere, sepolti nella stiva insieme a migliaia di altri come loro.
Per attraversare l’Oceano Atlantico la nave impiegava circa una settimana. Quando si avvicinarono vicino alle coste di New York tutti si affollarono sul ponte. Anche Lorenzo e Alfonso sbucarono dal ponte di terza classe in tempo per vedere la Statua della Libertà. Una giornata la trascorsero ad Ellis Island, per sistemare i documenti d’immigrazione.

Possiamo immaginare l’addetto all’ufficio formulare le domande in maniera un po’ biascicata, dopotutto erano domande di routine fatte a centinaia di persone al giorno, mentre Lorenzo, sicuramente stanco dal viaggio, cercava di rispondere al meglio delle sue possibilità:
– Quanti anni hai?
– Ventitré.
– Sei sposato?
– No.
– Che lavoro sai fare?
– Farm labourer (bracciante)
– Sai leggere e scrivere?
– Sì.
– Nazionalità?
– Italiana.
– Città di ultima residenza?
– Isolaccia.
L’addetto voleva anche sapere il nome e l’indirizzo di un parente o un amico del suo paese d’origine e Lorenzo gli lasciò il nome del padre; inoltre voleva sapere anche quale era la destinazione finale del viaggio e lui rispose che erano diretti a Detroit, Michigan. Poi chiesero ancora se si erano pagati loro il viaggio o se fosse stato pagato da qualcun altro e se avessero con loro almeno cinquanta dollari. Dovettero lasciare anche l’indirizzo a Detroit del fratello di Alfonso e poi rispondere ad una serie di domande che probabilmente Lorenzo trovò curiose come:
– Siete poligami?
– No.
– Siete anarchici?
– No.
– Condizioni di salute, mentali e fisiche?
– Buone.
La meta finale del loro viaggio però non era New York, ma Detroit, dove ad attenderli c’era Giuseppe Schena, il fratello di Alfonso. Una volta in Michigan cominciava una nuova vita: bisognava trovare un lavoro, una sistemazione (anche se per qualche tempo li poteva ospitare il cugino), mettere da parte i soldi da mandare a casa: bisognava rimboccarsi le maniche.
Fonti
Archivio di stato di Sondrio
www.ancestry.com